il lavoro sulla vacuità

C’è un colloquio in cui qualcuno chiede a Sri Ramana: “Non possiamo meditare ininterrottamente?”. Bhagavan risponde: “Prova, le vasana non te lo permetteranno”.

Le vasana sono spinte, quel qualcosa che ti fa dire “Dai, fammi vedere questo e fare quest’altro, e chiamare tizio e chiedere di sempronio…”.

Se non ci sono queste spinte, tu rimani nel Sé.

In che maniera il lavoro sulla vacuità sostiene il dimorare nel Sé, o meglio: l’ESSERE Il SÉ?

  • L’aspirante si abitua a riconoscere come prive di sostanza le apparenze.
  • In questo modo tutta l’apparenza dalle molte forme e individualità viene vista come il Brahman saguna, cioè l’Uno Senza Forma.
  • Ora voi avete il Sé dentro senza percezioni e il Sé fuori con percezioni che non sono più vissute come molteplici cose ma come l’unico Sé. È questo che intendi quando dico che Shiva e Shakti sono la stessa cosa.
  • L’ego agente sparisce e resta solo il Sé, cioè il vero VOI.

Col lavoro sulla vacuità, la brama, la libido (per usare un termine freudiano), si distacca progressivamente dalle apparenze e converge sul Sé. L’amore e l’umanità non sono intaccate, anzi… perché tu stai al gioco di parlare con qualcuno nel sogno cosmico e lo ami e rispetti come Sé.

Quando sparisce l’ego agente, l’azione che si esplica attraverso la forma è pura, deriva da Madre Shakti, non implica la decisione di un io individuale.