La morte di un proprio caro

Io quasi impazzii dal dolore per la morte di mia moglie. Avevo già molti anni di pratica spirituale, molte esperienze dirette, ma dopo la morte di mia moglie mi resi conto che fin quando non siamo consapevoli che il corpo fisico è un’illusione, possiamo avere tutte le esperienze spirituali possibili, ma inevitabilmente restiamo legati mani e piedi all’identificazione con la condizione umana.

Mi sentivo una pianta senza radici, come tagliato a metà… Capii che potevo risolvere il dolore per quella tremenda, insostenibile perdita soltanto andando completamente al di là della coscienza umana. Capii che non era facile, si trattava della realizzazione! O di qua, dove c’è la morte, o di là, ove morte e nascita non sono mai state. La mia sadhana divenne fulltime!

Rivolgo perciò l’invito a tutti gli aspiranti avanzati di porre la questione dell’illusorietà del corpo al primo posto della loro autoindagine.

Di seguito il discorso 203 di Sri Ramana Maharshi:

Il signor Varna – segretario finanziario del Ministero delle Poste di Delhi – ha letto i libri di Paul Brunton ‘India Segreta’ e ‘The Secret Path’. Ha perduto di recente la moglie, con la quale aveva vissuto felicemente per dodici anni. Cerca consolazione al suo dolore, ma non trova conforto nella lettura dei libri, che vorrebbe stracciare. Non intende fare domande. Desidera semplicemente sedere qui e trarre conforto dalla presenza del Maharshi.

M. – Si è soliti dire che ‘la moglie è la propria metà’; per questo la sua morte causa molta sofferenza. Questa sofferenza è però dovuta al proprio punto di vista, che è fisico; essa scompare se il punto di vista è quello del . La Brihad-Aranyaka Upanishad dice: “La moglie è cara a causa dell’amore del Sé”. Se la sposa e tutte le altre persone sono identificate con il Sé, come può nascere il dolore? Ciononostante anche i filosofi sono profondamente turbati da simili disgrazie.

Nel sonno profondo siamo felici; vi dimoriamo come il puro Sé. Anche ora siamo sempre il Sé. Nel sonno non ci sono mogli ne altri e neppure 1’ ‘io’. Tutti questi appaiono nello stato di veglia e producono piacere e dolore. Perché il Sé, che durante il sonno profondo è beato, non dovrebbe esserlo anche ora? Il solo ostacolo alla continuità di questo stato di benessere è la falsa identificazione del Se con il corpo.

La Bhagavad Gita dice: “L’irreale non ha esistenza. Il reale non cessa mai di essere. La verità di queste due affermazioni è stata percepita da coloro che vedono l’essenza delle cose”. “Il reale è sempre reale, l’irreale è sempre irreale”. “Egli non è nato e non muore; ne essendo venuto all’esistenza, cessa mai di esistere; non-nato, perpetuo, eterno, esistente fin dai tempi più antichi, non viene ucciso dalla morte del corpo”. Non esiste dunque né nascita né morte. II risveglio è la nascita e il sonno è la morte.

Forse vostra moglie era con voi quando andavate in ufficio o nel sonno profondo? Ella era lontana da voi, ma eravate contento perché pensavate che comunque si trovasse da qualche parte, mentre ora pensate che non esista più. La differenza sta nel vostro diverso modo di pensare. La causa del vostro dolore deriva dal fatto che pensate che vostra moglie non ci sia più. Tutto ciò è opera della mente, la quale crea il dolore anche quando vi è piacere. Dolore e piacere sono creazioni mentali. Perché piangere i morti dal momento che vengono liberati dalla loro schiavitù? L’afflizione è la catena forgiata dalla mente per attaccarsi ai defunti.

 “Cosa importa se qualcuno muore o è rovinato? Siate morto o rovinato voi stesso”. Così non proverete dolore per la morte di qualcuno. Che s’intende con questo tipo di morte? La distruzione dell’ego, anche se il corpo continua a vivere. Finché l’ego persiste l’uomo ha paura di morire. L’uomo piange la morte degli altri, ma ciò non sarebbe necessario se morisse prima lui (risvegliandosi dal sogno dell’ego, che equivale ad uccidere il senso dell’io).

L’esperienza del sonno profondo c’insegna chiaramente che la felicità consiste nel vivere senza corpo. Anche i saggi lo confermano, parlando di liberazione dopo l’abbandono del corpo. Il saggio attende con gioia il momento in cui si libererà del corpo.

Come uno scaricatore trasporta grandi pesi solo per guadagnarsi il salario, portando senza alcun piacere dei fardelli alla loro destinazione e alla fine si sbarazza con gioia del suo carico, così il saggio porta il peso del corpo aspettando di potersene sbarazzare al momento giusto. Poiché vostra moglie era la vostra ‘metà’, non dovreste essere grato e felice di esservi sbarazzato di metà del vostro fardello? Tuttavia non potete esserlo perché vedete le cose dal punto di vista fisico. Anche gli uomini che dovrebbero avere una buona conoscenza e che conoscono gli insegnamenti spirituali sulla liberazione dopo la morte, insistono nel glorificare la liberazione nel corpo e parlano di poteri misteriosi per mantenere il corpo eternamente vivo! Se s’abbandona il punto di vista materiale e la persona esiste unicamente come il Sé, non c’è più dolore. Affliggersi non è neppure indice di vero amore, mostra solo l’amore per la forma, per l’oggetto. Non è amore. Il vero amore è dimostrato dalla certezza che l’oggetto d’amore è nel Sé e non può mai cessare di esistere. (A questo proposito il Maharshi citò la storia di Indra e Ahalya, dallo Yoga Vasishta).

È però vero che il dolore provato in simili occasioni può essere alleviato soltanto dall’associazione con i saggi.