libero arbitrio e servizio all’umanità

Devaraja Mudaliar: — Se ogni azione del corpo e ogni esperienza attraverso cui passa è già stabilità dal karma, che ne è del libero arbitrio e della responsabilità individuale?

Bhagavan: — L’unica libertà che si ha è di lottare per acquisire la Conoscenza, Jnana, che permette di non identificarsi col corpo. Anche se il corpo è oggetto del prarabdha (il karma che si manifesta nel presente), l’uomo è libero di identificarsi col corpo e aderire ai frutti dell’azione o di rimanere distaccato ed essere un semplice testimone delle attività.*

Mudaliar: — È anche detto: «Questo insegnamento non dev’essere dato a tutti, perché nella maggior parte dei casi condurrebbe solo a discussioni infinite».

Bhagavan: — Sono questioni che preoccupano solo chi non ha ancora trovato la ‘Fonte’, sia del libero arbitrio che del destino. Chi l’ha trovata abbandona queste discussioni.

Mudaliar commenta: «Ricordo un Satsangha in cui la direttrice di una scuola femminile chiese a Bhagavan: “Non è meglio lavorare per il progresso del mondo piuttosto che sedersi in contemplazione, in disparte, alla ricerca della propria salvezza?”. Restò in silenzio e la donna vedendo che taceva continuò a sostenere il proprio punto di vista per alcune decine di minuti fin quando delusa lasciò la sala insieme alla sorella. Quando uscì Bhagavan disse: “non serve a niente parlare con queste persone. L’unico risultato sarebbe di veder pubblicato sui giornali che i punti di vista di questo e di quello sono così e così e tutto porterebbe a una discussione infinita. La cosa migliore è rimanere in silenzio”. Ma Sri Bhagavan aveva già dato una risposta esauriente, pubblicata anche ne ‘Il Vangelo di Ramana Maharshi’: “Uno Jnani, attraverso la sua autorealizzazione, agisce per il mondi molto più di tutti i lavoratori messi insieme, ed il suo silenzio è più eloquente e più efficace di quegli oratori e scrittori che suggeriscono una via agli uomini”.

[da ‘Ricordi’, Vol. I, I Pitagorici]

* In questa frase vi è la sintesi dell’Advaita Vedanta: «L’Advaita considera la vita universale come un semplice fenomeno che va reintegrato nel Brahman non duale. Per compiere tale processo l’individuo utilizza la facoltà di discriminazione (viveka) dell’intelletto. Scopo dell’Advaita è rendere il Soggetto conscio della sua qualità di testimone, la non identificazione col “secondo” porta l’individuo a scoprire la propria essenza, il Sé».
Di recente un aspirante mi ha chiesto perché non sentissi il bisogno di andare al mare, fare qualche gita e visitare gli allievi. Perché per me è tutto ‘niente’ e l’unica spinta che ho è rimanere nell’essenza. Non c’è niente di male nel godere delle cose che ci vengono incontro, ma fin quando per voi ancora esistono cose, luoghi e altri, siete ancora legati alla mente, all’illusione; non riuscite ancora a vedere la semplice realtà che c’è solo il Sé senza secondo.
Se volete spegnere la mente e andare oltre attrazioni e paure dovreste allenarvi a ripetere a voi stessi che i fenomeni che vengono verso di voi sono ‘nulla’, la loro consistenza è il nulla. Se non vi allenate adesso, quando morirete i segni del dopo-morte vi appariranno reali e vi condurranno a una nuova incarnazione.
Quando non sognate più o avete solo sogni lucidi, sapete che per voi non c’è più reincarnazione.