Diversità di linguaggio e interpretazione della Realtà tra la scuola di Sri Ramana e quella di Sri Siddharameshwar secondo Soham

Sri Nisargadatta Maharaj

L’Esperienza del Nulla

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Maharaj espone le basi del suo insegnamento

Maharaj: Occorre comprendere la natura della coscienza. La coscienza può nascere unicamente nel corpo fisico, e il corpo fisico è formato dai cinque elementi [Secondo la cosmologia induista, i ‘cinque elementi’ (terra, acqua, fuoco, aria, etere) costituiscono i mattoni fondamentali dell’intero universo fisico]. È a causa dell’associazione con il corpo fisico che c’è la sofferenza. Molte persone che vengono qui non potranno accettare questa forma di conoscenza, perché si riferisce al livello supremo. Ma coloro che si impegnano e accettano questo punto di vista comprenderanno realmente. Saranno perfettamente liberi dall’impatto del dolore e dell’infelicità se comprenderanno che questi ultimi possono essere soltanto il prodotto della coscienza che si è identificata con il corpo fisico e che soffre sotto forma di individuo. In questo caso, la sofferenza è il frutto inevitabile. Ma che cos’è l’individuo? C’è un corpo costituito dai cinque elementi, e in questo corpo dimorano il soffio vitale (prana) e la coscienza: è un’unità composita. Tutte le forme viventi contengono il soffio vitale e la coscienza. E benché le forme siano diverse, sono tutte composte dagli stessi elementi. Quindi, ti chiedo di nuovo: dov’è l’individuo? Essenzialmente, non c’è nessun individuo. Questo è il mio insegnamento basilare che si deve afferrare, ma sono pochi quelli che lo comprenderanno.

Visitatore: Puoi ripetere quello che hai detto? C’era troppa confusione e non sono riuscito a seguirti.

M. Certo, ma non con le stesse parole. A che cosa va la nostra principale preoccupazione? Alla forma fisica, che è costituita e sorretta dai cinque elementi. All’interno di questa forma agiscono la forza vitale (il soffio vitale) e questa coscienza, ovvero la conoscenza Io Sono, il senso di essere, il senso di esistere. Quest’ultimo è la facoltà ‘senziente’ che è il dono della coscienza [La prigione non è il ‘senso di essere’, ma il senso di essere un individuo identificato con un corpo – nota di Soham]. Questa è la totalità di tutto ciò che possiamo percepire: il corpo, il soffio vitale e la coscienza. Tutte le forme sono composte dagli stessi elementi costitutivi. Dov’è quindi l’individuo? In tutto ciò, l’individuo in quanto tale non è mai esistito [No, l’individuo non è mai esistito, esiste solo il Sé universale, cioè Turiya – nota di Soham]. Per questo non c’è motivo di identificarsi con qualche cosa. Eppure, è quello che facciamo: la coscienza si identifica con il corpo, e in questo modo l’individuo viene a esistere [Questo è corretto – nota di Soham]. Finché è così, l’individuo è destinato a soffrire. E ciò che sono… Io non sono il corpo, che è composto unicamente dai cinque elementi, né la forza vitale (il respiro), né la coscienza che entra nel corpo [Che significa “la coscienza che entra nel corpo”??? In italiano coscienza e consapevolezza sono sinonimi, ma in inglese hanno significati leggermente diversi. Coscienza (consciousness) ha più il significato di coscienza relativa, mente consapevolezza (awareness) ha più il significato di coscienza universale. Poiché la coscienza relativa non è alto che conoscenza relativa, per “coscienza che entra nel corpo” intende forse Nisargadatta la conoscenza relativa dell’individuo? E perché la coscienza può nascere unicamente dal corpo fisico??? È un assioma che risulta incomprensibile! Ma se diciamo che la conoscenza relativa nasce dal corpo fisico, allora diventa più comprensibile. Tuttavia anche quest’ultima formulazione ci risulta parziale. La conoscenza relativa nasce dal jiva (l’individuo), e l’individuo può sentirsi tale solo attraverso l’identificazione della Coscienza Universale con un corpo, che non necessariamente dev’essere fisico; si pensi agli esseri astrali dotati di un corpo sottile – nota di Soham]. Sono costretto a identificarmi con la coscienza finché c’è il corpo, dato che la coscienza forma un’unità con il corpo [Io direi: sono costretto a sentirmi un individuo limitato finché sono identificato con un corpo – nota di Soham]. Ma, in realtà, io non sono nessuna di queste tre cose. Finché il corpo esiste io sono la coscienza, che testimonia semplicemente tutto quanto accade. Quando il corpo muore, la forza vitale lo abbandona e si fonde con l’aria, mentre la coscienza si fonde con la coscienza universale [Appunto, l’individuo in realtà è la Coscienza Universale, cioè Turiya – nota di Soham]. Essenzialmente, io non sono niente (di identificabile) all’interno di questa coscienza, ne sono anzi il testimone. E ciò che sono in senso assoluto, è impossibile esprimerlo a parole [Concordo! Una volta distrutti i concetti attraverso l’immersione in Turiya, sopraggiunge Turiyatita in cui non è più possibile definirsi con alcuna parola. Turiya è la conoscenza suprema (prajnana) che distrugge l’ignoranza, mentre Turiyatita è lo stato che supera anche la conoscenza suprema. Tuttavia dire che si è il testimone della coscienza è opinabile, perché la Coscienza, così come l’Essere, si autoconoscono, sono auto-luminosi. Uno non ha bisogno di testimoniare l’Essere per sapere di esistere – nota di Soham]. In quella consapevolezza suprema non c’è nessuno che abbia coscienza di essere presente. La presenza stessa non esiste nell’Assoluto [Sì. Una volta che la conoscenza suprema, Turiya, ha svolto il compito di distruggere l’ignoranza, lo jnani sente che mantenere quella conoscenza è uno sforzo che non riesce più a sostenere man mano che il suo abbandono diventa assoluto. A quel livello di abbandono al Sé, mantenere la conoscenza gli sembra un’azione, che quindi contrasta col Sé che è totale non azione. Allora molla anche la conoscenza. Non gli interessa nessuna conoscenza, nessuna comprensione; ora vuole solo fondersi nel Sé! Ciò, dopo un po’ di tentativi, lo condurrà alla non-conoscenza del nirvikalpa samadhi, in cui non vi è più l’osservatore. Quando si rià gli ritorna la mente, e allora può ricordare che durante il nirvikalpa era fuso nel Sé. Dopo tale esperienza, sapere di essere persino oltre il ‘fardello’ della conoscenza gli dà un senso di libertà così assoluto che per comprenderlo lo si deve solo sperimentare. Finché il corpo è in vita, lo jnani continua a usare la mente, per parlare ecc., ma interiormente sa di essere quello stato di fusione senza conoscenza. Questo fa sì che Robert Adams dicesse: “Lo jnani è sempre nel sonno profondo”. Capite? Non è che rimane in coma, ma nel cuore, nella sua identità rimane Quello. Ora Nisargadatta dice che si è prima della coscienza, ma io credo che questa asserzione sia confusiva, e che si debba invece dire che si è prima della conoscenza, in quanto il Parabrahman (l’Assoluto) è Essere-Coscienza: un essere che non sa di esistere e una coscienza non consapevole di sé stessa. È così, per quanto possa sembrare un paradosso – nota di Soham].