La pratica della vacuità

Lo Stato Naturale di autoconsapevolezza è celato solo dall’attaccamento. E l’attaccamento deriva dal credere che le apparenze siano vere.

Eco perché io suggerisco vivamente una profonda ‘pratica della vacuità’ perché lo Stato Naturale permanga.

I buddhisti ponderano sulla vacuità come pratica preliminare, prima ancora di cominciare a meditare. Essi ponderano sullo spazio, considerano che lo spazio permea tutto: gli spazi all’interno corpo, gli spazi tra le particelle molecolari ecc. e alla fina giungono alla conclusione che tutto è vuoto. È una pratica utile per preparare la mente alla meditazione, ma è evidente in questo modo, senza la guida di un buon maestro, anche questo vuoto può diventare un altro oggetto mentale che può essere confuso con il Sé, mentre il Sé è chi percepisce il vuoto.

Il modo in cui la pratico io è differente. Il principiante va attraverso l’autoindagine classica: individua il Soggetto ultimo e tenta di dimorarvi. Quando ha la prima esperienze diretta dell’inesistenza delle apparenze e vede che c’è solo il Sé allora può cominciare la pratica della vacuità.

Questa pratica non consiste nel riconoscere il vuoto, ma nel riconoscere l’insostanzialità di ogni apparenza: “Questo non ha sostanza, non esiste!” –  è diverso da neti neti che dice “Non sono questo. Non sono quello”, net neti riconosce semplicemente la differenza tra Sé e non-Sé. Nella meditazione formale l’aspirante può chiudere gli occhi e riconoscere come privo di sostanza tutto ciò che appare dentro di lui: pensieri, sentimenti, ricordi, immagine, postulati ecc. Ma la pratica andrebbe fatta sempre, anche al di fuori della meditazione formale, durante la vita di tutti i giorni, e continuare nel sogno. Quando lo Stato Naturale di Autoconsapevolezza compare spontaneo (o se vi è più confortevole dimenare nelle Stato Naturale), allora, dato che è la Realtà unica, dimorate in Esso.

Il modo migliore di praticare la vacuità:
Avviate una considerazione morbida ma continua di non sostanza di ogni apparenza. Non fate come quelli che vanno in palestra e cominciano subito con molto peso, molte ripetizioni, molto sforzo. Rischiano di infiammare i tendini e poi devono restare fermi per lungo tempo. Lasciate che la consapevolezza della vacuità maturi gradualmente: una cottura lenta ma profonda!

Bisogna comprendere è che uno o più samadhi non sono sufficiente a stabilizzare la consapevolezza dell’illusorietà dell’apparenza. Essa continua ad apparire reale anche dopo il samadhi, forse un po’ di meno, ma fin quando non è del tutto irreale, lo Stato Naturale non potrò continuare ininterrotto. Verrà invece interrotto da distrazioni, e queste dipendono dal considerare ciò che ci distrae come ancora reale. Perché si dovrebbe pensare a qualcosa che non esiste?

Ecco perché il riconoscere la vacuità (nel senso di mancanza di sostanza) delle apparenze e lo Stato Naturale sono direttamente proporzionali: più riconoscete la vacuità, più lo Stato Naturale si rafforza.

Alla fine la pratica della vacuità raggiunge anche lo stesso ‘pensieri io’. Perciò a tutti gli effetti essa è ‘indagine’.

È vero che i pensieri e le apparenze possono sparire penetrando la radice dell’io, ma non è l’unico modo, e soprattutto non è il modo più confortevole per tutti.

Poonja, che fu allievo diretta di Bhagavan, si aiutò con un mantra a Krishna, di cui era devoto. Quando raggiunse la realizzazione chiese a Bhagavan se doveva continuare il mantra e Bhagavan rispose ‘Ha fatto il suo lavoro, ora non è più necessario’. Inoltre Poonja non mise a fuoco l’io ma l’Essere sempre presente e immutabile nello spazio tra un pensiero e l’altro. Langford non riuscì mettendo a fuoco l’io ma la consapevolezza, e così ho fatto anch’io in prevalenza, anche se ho passato tutti i tipi di Soggetto possibili. Giulio vide subito che l’interminabile sfilza degli ‘io’ era illusoria e dopo un po’ non trovò nessun io. Spontaneamente, e anche un po’ col mio aiuto, la sua attenzione è scivolata nell’autoconsapevolezza e adesso è quasi stabile nello Stato Naturale. Un maestro non dovrebbe assolutizzare il suo modo di raggiungere la realizzazione (Sri Ramana non l’ha mai fatto), dovrebbe invece valorizzare il modo che è più naturale per l’allievo.

Vi invito ad essere consapevole che finché non vi è profondamente chiaro che la manifestazione e il vostro stesso corpo e la vostra persona non sono reali, potrete essere al massimo solo turisti delle Stato Naturale.

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Lo stato naturale di autoconsapevolezza predomina sempre più.
Non so cosa sia successo in questi giorni… lo Stato si adagia sul mio essere con compassione silente , ricoprendolo come neve.
Tutti i fenomeni si muovono velocemente, e sorgono e cessano all’interno di questo stato perfettamente neutro, inalterato, preesistenti.
Mi permetto tutto, tutto viene accolto.
Così i pensieri, le impressioni, gli stati umorali, le identità, le voci altrui captate come radio, sfilano una dopo l’altra, sempre più vorticosamente sotto la luce di ciò che non è alterato, fino a spegnersi, a volte.
A volte scelgo un processo fisico (che ha una base di coscienza) e con la concentrazione lo scompongo, fino alla dissoluzione.
Così tutto è vuoto poiché sorge, cessa e si dissolve nel nulla incessantemente, nel negativo… ma a luce che osserva-ingloba tutto è il positivo…
Appare quindi il neutro perfetto silenzio abissale di Dio, dove sento iniziare finalmente il processo della mia morte in vita.
G.P.

Sergio: Questo è veramente lo stato naturale, la pace della rugiada.