la relazione Guru-discepolo sfrondata da tutte le narrazioni romantico-personalistiche

Abbiamo detto che i Bhakta prima si innamorano di Dio e del Guru e poi scoprono che loro, Dio e il Guru sono UNO; quindi un iniziale amore romantico-personalistico del discepolo verso il Guru è del tutto accettabile. Gli Jnanini invece prima scoprono che sono l’Essere (è lo stesso se lo chiamate Consapevolezza o Principio-Io) e poi si innamorano dell’Essere.

Dal punto di vista jnani, dopo che lo stato stabile è realizzato, tutti i concetti, le idee, le narrazioni romantiche sulla relazione Guru-discepolo appaiono per quello che sono: mere fantasticherie! Forse sono utili agli allievi perché imparino la gratitudine, ma che ci creda il maestro è tragicomico. Quando ci si realizza non c’è più un io personale che fa qualcosa. C’è l’Essere e basta. Da dove saltano fuori tutte le love story personalistiche tra Guru e discepoli?…

Sri Ramana Maharshi non ha mai riconosciuto alcuno come suo allievo. Quando gliene chiedevano il motivo, rispondeva: “Non vedo nessun allievo”. Swami Annamalai fu eccezionalmente vicino a Sri Ramana, come fosse un figlio. Poiché presiedeva ai lavori dell’Ashram, si vedeva quotidianamente con Ramana per relazionargli e naturalmente parlava anche della propria sadhana. Un giorno Bhagavan gli disse che il suo impegno coi lavori era finito e che doveva ritirarsi a meditare. Su suggerimento di Bhagavan, Annamalai si costruì un bungalow fuori dall’Ashram, sulla strada che i pellegrini percorrono per il giro devozionale intorno alla sacra collina di Arunachala. Quando Ramana passava di lì, non lo degnava nemmeno di uno sguardo. Quale messaggio poteva contenere un tale comportamento? “Trovami nel tuo Cuore e non in una forma!”. Questo è l’insegnamento del Guru. Anche se esteriormente appare l’aspetto personale perché la nostra forma è umana, interiormente il Guru, pur vedendo la mente dell’allievo, si relaziona a lui nella verità, e cioè da Sé a Sé.

L’Aiuto, che è la Grazie, è insito nell’Essere. Il Sé si autoaiuta! Anche la gratitudine e la devozione sono insite nell’Essere.

COMMENTI

M.C. — E i Karma, gli individui di azione, come vivono questo? Grazie.

Sergio — Non sono sicuro di aver capito la tua domanda. Provo a rispondere. Quello che ho scritto nasce dal punto di vista del Brahman nirguna, cioè il puro Sé. Ciò però non esclude le leggi di altri livelli, e quindi il karma, l’incarnazione degli Avatar, maestro e allievo che si rincontrano durante le vite, ecc. Ma non è nella tradizione dell’Advaita Vedanta occuparsi dei livelli classificati inferiore al Brahman nirguna; non lo dico con alterigia ma solo per precisare le caratteristiche dell’Advaita Vedanta. L’autoindagine si dirige direttamente al Brahman nirguna ignorando tutto ciò che non è Brahman nirguna. Ad esempio, hai mai sentito uno jnani parlare di Avatar? Ora quello che sto scrivendo in questa risposta ha tutta l’aria di volere dire “Noi siamo i meglio”. Me ne dispiace molto perché io penso che la via realizzativa migliore sia quella in cui l’aspirante si trova più a sua agio. In realtà nessun aspirante fa un percorso spirituale uguale a un altro, anche all’interno della stessa direzione. Se il mio tono sembra di sufficienza verso alle altre vie, me ne scuso; ciò è solo dovuto al fatto che conosco meglio l’Advaita Vedanta.

M.C. — Grazie Sergio. Nessuna alterigia nelle tue parole, comprendo quello che dici e anzi grazie per la tua risposta. Chiarisco la domanda. Nel post, peraltro molto interessante, hai parlato di Bhakta e di Jnanini. Esiste una terza classificazione, gli individui di Azione (Karma). Chiedevo come vivono loro questi aspetti.

Sergio — Chi segue l’azine come via verso l’unione col Divino pratica il servizio disinteressato. Attraverso questa pratica trasforma gradualmente l’amore personale nell’amore verso il Divino immanente in ogni essere senziente. Gli yogi curano il prana e la loro evoluzione è guidata dall’ascesa di kundalini.
Per intenderci, in ogni via realizzativa kundalini ascende, ma in jnana la consapevolezza ha il ruolo preponderante nella pratica; in Bhakti ce l’ha l’amore; in Karma, il servizio disinteressato; e in yoga, l’energia.
Di nuovo parlo più di jnana perché è la via che conosco. Sri Ramana aveva Kundalini completamente liberata. Camminava con il bastone, non perché fosse zoppo, ma perché Kundalini era così forte che rendeva incerto il suo incedere. “È come un elefante in un guscio di noce”, diceva. La pratica del “Chi sono io” apre direttamente il canale della consapevolezza: Sushumna. Ho visto molte persone risvegliare kundalini agli Intensivi di Illuminazione. Un caro abbraccio