le due grandi fasi dell’autoindagine

I PRIMI DUE PASSI

Il primo passo è ottenere attraverso l’autoindagine delle esperienze dirette non-duali della propria vera natura, tante quanto basta per capire ‘Chi’ veramente siamo.

Il secondo passo è rendersi conto che il mondo fenomenico non esiste (come insegna lo Yoga Vasistha), discreando col Testimone, in funzione ‘neti’ (io non sono questo), buona parte della mente.

L’ESAURIRSI DI NETI

Raggiunto tale livello non è più evolutivo continuare ad usare la funzione ‘neti’ se non occasionalmente, in genere in situazioni difficili. Ora l’aspirante ha bisogno di ‘riassorbire’ la manifestazione dentro di Sé. Perciò il modo virtuoso di procedere è con l’approccio ‘iti’ (“Io sono questo”, o “questo è Me”).

Nisargadatta racconta di utilizzare ‘neti’ anche dopo la realizzazione. Egli dice: «Quando appare qualcosa, spontaneamente emerge dentro di me: “Io non sono questo”». A me riesce difficile capire come si possa raggiungere il Sahaja con un approccio neti; tuttavia bisogna tener presente che il Sé non ha solo la qualità dell’immanenza, ha anche quella della trascendenza, e la trascendenza dice: il creato è il Sé ma il Sé non è il creato.

ITI SI RIVOLGE AL SAMADHI

Nell’Autoindagine vi sono due grandi fasi. Quella senza samadhi – in cui includo tutte le esperienze dirette più o meno istantanee che ci servono a capire ‘Chi’ veramente siamo – e quella con samadhi. La prima fase è il crepuscolo che attende l’alba; la seconda è il regno della gloria crescente del Sé.

Io suggerisco di iniziare la fase ‘iti’ ponderando la frase di Sri Atmananda: “Conoscere o amare un oggetto significa in realtà portarlo sempre più vicino a te, finché alla fine si fonde in Te come Pura Coscienza ”.

Quindi l’aspirante dovrebbe fare l’intento di divenire Uno con qualsiasi oggetto, sia del mondo interiore che del mondo esteriore, appaia diverso e separato da sé. Questo ‘idealmente’ 24 ore al giorno, in pratica come meglio si può in quel momento. l’intento di divenire Uno con qualsiasi apparenza continua la discreazione della mente – e quindi del creato in quanto fenomenalità – fino a che resta il solo Sé, che è l’Unica realtà, nel quale l’aspirante si fonderà.

PROMUOVERE L’APERTURA, L’ACCETTAZIONE E L’AMORE

L’intento non dev’essere forte come per il principiante al primo giorno dell’Intensivo di Illuminazione, né si dovrebbe sostenere l’aspettativa di ottenere un’esperienza diretta dopo ogni intento. Qui lo scopo è promuovere l’apertura e l’accettazione, condizioni essenziali per accedere al samadhi prolungato. Se si dà una spallata per sfondare, anche se si ottiene l’esperienza diretta, dopo un po’ ci si sente sballati per lo sforzo e si ricade stralunati nella mente. Se invece ci si appoggia all’oggetto che appare separato con il dolce intento di integrarlo, lo stato unitivo subentrerà in armonia con l’accrescere dell’accettazione, dell’apertura e dell’amore.

UN UNICO SCOPO

L’aspirante comunque dovrebbe ambire soltanto al Sahaja, anche se otterrà il savikalpa e nirvikalpa nel mentre; altrimenti si rischia di nuovo di identificare la Liberazione con un determinato stato trascendente. L’aspirante dovrebbe avere nel cuore il Sahaja come suo unico scopo!