brahmacharya vuol dire vivere in Brahman

Sri Ramana Maharshi, discorso 17, seconda parte

D. – È necessaria la castità (brahmacharya) per la realizzazione del Sé?

M. – Brahmacharya vuol dire ‘vivere in Brahman’. Non ha alcun rapporto con la castità come la si intende comunemente. Un vero brahmachari, cioè uno che vive in Brahman, trova beatitudine in Brahman, che è lo stesso Sé. Perché dunque dovrebbe cercare altre fonti di felicità? In effetti, l’uscita dal Sé è la causa di ogni infelicità.

D. – La castità è una condizione sine qua non nello yoga?

M. – È così. La castità è certamente un aiuto alla realizzazione, come tanti altri aiuti.

D. – Allora non è indispensabile? Può un uomo sposato realizzare il Sé?

M. – Certamente. È una questione d’attitudine mentale. Sposato o celibe, un uomo può realizzare il Sé, che è qui ed ora. Se non fosse così, ma raggiungibile con degli sforzi in un altro momento, se fosse una cosa nuova, qualcosa da acquisire, non varrebbe la pena mettersi alla sua ricerca. Perché ciò che non è naturale non può essere permanente. II Sé è qui ed ora, ed è unico e solo.

D. – Poiché Dio è immanente in tutto, non si deve privare nessuno della vita. La società ha dunque ragione ad uccidere un assassino? Ne ha il diritto lo stato? I paesi cristiani cominciano a credere che sia sbagliato.

M. – Lo stesso potere che ha spinto l’assassino a commettere il crimine gli infliggerà la punizione. La società o lo stato è soltanto uno strumento nelle mani di quel potere. Voi parlate di togliere la vita ad una sola persona. Che dire allora delle innumerevoli vite perse durante le guerre?

D. – Proprio così. La perdita di vite umane è un male. Sono giustificate le guerre?

M. – Per l’uomo realizzato, che dimora sempre nel Sé, la distruzione di una, di molte o di tutte le vite sia di questo mondo che dei tre mondi, non fa alcuna differenza. Anche se dovesse distruggerle tutte, nessun peccato potrà macchiare quest’anima pura.

Il Maharshi citò la Gita (18, 17): «Chi è libero del senso dell’ego, con l’intelletto non privo di attaccamento, anche se distruggesse tutti i mondi non ucciderebbe né sarebbe legato dai risultati delle sue azioni».

D. – Le nostre azioni non influenzano le nostre vite future?

M. – Siete nato adesso? Perché pensare ad altre nascite? Il fatto è che non c’è né nascita né morte. Lasciate che chi è nato pensi alla morte e ai suoi palliativi.

D. – Quanto tempo ha impiegato il Maharshi per realizzare il Sé?

M. – Questa domanda viene posta perché si percepisce un nome e una forma. Queste percezioni sono conseguenti all’identificazione dell’ego con il corpo fisico. Quando l’ego s’identifica con la mente sottile, come nel sogno, le percezioni diventano ugualmente sottili. Nel sonno profondo però non vi sono percezioni. Forse l’ego non c’è più? Ma se non ci fosse non potrebbe esservi il ricordo di aver dormito. Chi è che ha dormito? Durante il sonno non vi siete detto che dormivate. Lo dite adesso, una volta sveglio. L’ego è dunque lo stesso durante la veglia, il sogno e il sonno profondo. Scoprite la Realtà che sta alla base di questi tre stati, la Realtà che li sottende. In quello stato (il sonno profondo) vi è soltanto Essere; non vi è né tu, né io, né egli; non vi è presente né passato né futuro; è oltre lo spazio e il tempo, oltre ogni dire; è sempre là.

Così come il banano, prima di dare i frutti e morire, produce virgulti dalle sue radici e questi virgulti trapiantati rifanno la stessa cosa. Allo stesso modo il primo Maestro dell’antichità (Dakshinamurti), che ha dissipato i dubbi dei suoi discepoli rishi rimanendo in silenzio, ha lasciato dei germogli che continuano a moltiplicarsi. Il Guru è un germoglio di quel Dakshinamurti. La domanda non sorge quando il Sé è realizzato.

D. – Il Maharshi entra in nirvikalpa samadhi?

M. – Se gli occhi sono chiusi è nirvikalpa, se sono aperti è savikalpa (in cui vi è differenziazione ma non ci si sente separati da nulla). Lo stato, sempre presente, è il sahaja o stato naturale.