Victor Truviano

Victor Truviano è argentino; è stato un violinista celebre nel suo paese con molti allievi. Poi è cominciata una radicale trasformazione – lui dice che ha cominciato a ricevere dei ‘messaggi’. Sono 13 anni che non mangia né beve e mostra una dozzina d’anni in meno. Di sicuro, anche solo guardandolo, vi renderete conto che avete a che fare con un essere che non è più di questo mondo (anche se non sono in grado di dire attraverso dei video quanto egli debba ancora progredire sul sentiero spirituale).

Vi propongo un video sottotitolato in 24 lingue – l’italiano è al 5° posto – che è la prima parte di un set di 3. Victor parla lentamente in spagnolo perciò è facile seguire i sottotitoli.

Gli altri due video della serie sono:
https://www.youtube.com/watch?v=ztfIqOHEbHA
https://www.youtube.com/watch?v=1v1b0SWuZzw

Buona visione!

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Su FaceBook un commentatore posta uno scettico “Mah!”.

La mia risposta al suo commento:

A cosa si riferisce il tuo “Mah!”?
Alla persona di Victor Truviano?
Io non sono in grado di garantire che sia verace solo avendone visto qualche video; dovrei quanto meno incontrarlo di persona per percepirne più direttamente l’emanazione. Di sicuro mi ha ispirato altrimenti non l’avrei postato.

Se invece il tuo scetticismo si riferisce alla possibilità che un essere umano sia affrancato da fame e sete, ecco cosa dice al riguardo il Maharishi Patanjali nella Terza Sezione, dedicata alla Siddhi, dei celeberrimi ‘Aforismi delle Yoga’: “Facendo samiyama sulla cavità della gola lo yogi è libero da fame e sete” [3, 31].

Anche Sri Ramana Maharshi ne parla narrando del lungo periodo in cui rimase ininterrottamente immerso nella coscienza del Sé: “A stento mi rendevo conto di giorno e notte. Ero sempre nella coscienza del Sé ignaro del corpo. Quando aprivo gli occhi qualcuno mi passava un bicchiere di latte, ed era tutto quello che mangiavo. Quando la mente è calma non si ha bisogno di mangiare, e quando non si mangia non si ha bisogno di dormire”.

Lester Levenson, lo Jnani a cui spesso mi ispiro, dopo la realizzazione ebbe un lungo periodo in cui non ebbe bisogno di mangiare né di bere né di dormire. Egli riprese gradualmente a farlo solo per libera scelta, non perché ne sentisse il bisogno, allo scopo caritatevole di essere meno dissimile dagli altri ed avvicinarsi di più ai loro ritmi.

In ‘Autobiografia di uno Yogi’, Capitolo 39, Paramahansa Yogananda parla di più persone che non avevano più bisogno di mangiare e di bere. Tra queste una signora tedesca, Theresa Neumann, che fu sottoposta a scrupolosa osservazione medita:

“Dal 1923 Therese si astiene completamente dal cibo e dalle bevande, se si eccettua l’assunzione quotidiana di una piccola ostia consacrata.
Le stigmate, ossia le sacre piaghe di Cristo, comparvero per la prima volta nel 1926 sulla testa, sul petto, sulle mani e sui piedi di Therese. Da quel momento, ogni venerdì, ella rivive la Passione di Cristo, soffrendo nel proprio corpo tutta la Sua storica agonia.
Pur conoscendo normalmente soltanto la semplice lingua tedesca del proprio villaggio, nelle sue trance del venerdì Therese pronuncia frasi in una lingua che gli studiosi hanno identificato essere l’antico aramaico. In momenti appropriati nella sua visione, ella parla in ebraico o in greco.
Con l’autorizzazione ecclesiastica, Therese è stata ripetutamente sottoposta ad attenta osservazione scientifica. Fritz Gerlick, direttore di un giornale protestante tedesco, si recò a Konnersreuth per “smascherare la frode cattolica”, ma finì con lo scrivere, con reverenziale rispetto, la biografia di Theresa Neumann.
In Oriente o in Occidente, ero sempre desideroso di fare la conoscenza di un santo. Ero dunque colmo di gioia quando la nostra piccola comitiva, il 16 luglio, fece il suo ingresso nel suggestivo villaggio di Konnersreuth. I contadini bavaresi mostrarono vivo interesse per la nostra automobile Ford (portata con noi dall’America) e per la composita compagnia: un giovanotto americano, un’anziana signora e un orientale di carnagione olivastra con i lunghi capelli raccolti sotto il bavero del cappotto.
La casetta di campagna di Therese, linda e ordinata, con i gerani fioriti vicino a un pozzo rudimentale era, ahimè!, chiusa e silenziosa. Né i vicini né il postino del villaggio che passava in quel momento seppero darci informazioni. Iniziò a piovere; i miei compagni suggerirono di andarcene.
«No» dissi con ostinazione. «Resterò qui finché non troverò qualche indizio che ci conduca a Therese».
Due ore dopo eravamo ancora seduti in auto sotto la triste pioggia. «Signore» sospirai lamentandomi «perché mi hai guidato fin qui se ella è scomparsa?».
Un uomo che parlava inglese si fermò accanto a noi, offrendo cortesemente il suo aiuto. «Non so per certo dove sia Therese» disse «ma spesso si reca in visita a casa del professor Wurz, un insegnante del seminario di Eichstatt, a circa centotrenta chilometri da qui».
Il mattino seguente partimmo in auto per il tranquillo villaggio di Eichstatt, attraversato da fitte stradine lastricate di ciottoli. Il dottor Wurz ci ricevette cordialmente in casa sua: «Sì, Therese è qui».
Egli le mandò a dire dei visitatori. Subito apparve un messaggero recando la sua risposta. «Benché il vescovo mi abbia chiesto di non incontrare nessuno senza il suo permesso, riceverò l’uomo di Dio che viene dall’India».
Profondamente commosso da queste parole, seguii il dottor Wurz nel soggiorno al piano superiore. Therese entrò immediatamente, irradiando un’aura di pace e di gioia. Indossava un abito nero lungo e un fazzoletto candido in testa. Benché a quel tempo avesse trentasette anni, sembrava molto più giovane e aveva davvero la freschezza e il fascino di una bambina.
Sana, florida, dalle guance rosee, allegra: questa è, dunque, la santa che non mangia!
Therese mi accolse con una stretta di mano estremamente dolce. Eravamo entrambi radiosi in silenziosa comunione, ciascuno consapevole dell’amore appassionato che l’altro provava per Dio.
Il dottor Wurz si offrì gentilmente di fungere da interprete. Nel sederci, notai che Therese mi guardava con ingenua curiosità; evidentemente gli indù erano alquanto rari in Baviera.
«Non mangiate nulla?». Volevo udire la risposta dalle sue labbra.
«No, tranne un’ostia consacrata di farina di riso, ogni mattina alle sei».
«Quanto è grande l’ostia?».
«È sottile come la carta, grande come una monetina». Poi aggiunse: «La prendo come sacramento; se non è consacrata, non riesco a inghiottirla».
«Certamente non potete aver vissuto solo di questo, per dodici lunghi anni!».
«Vivo della luce di Dio». Quanto fu semplice ed einsteiniana la sua risposta!
«Vedo che siete consapevole che l’energia fluisce nel vostro corpo dall’etere, dal sole e dall’aria».
Un rapido sorriso le balenò sul volto. «Sono proprio felice che comprendiate come vivo».
«La vostra santa vita è una dimostrazione quotidiana della verità affermata da Cristo: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”»
Di nuovo manifestò la sua gioia udendo la mia spiegazione. «È proprio così. Uno dei motivi per cui sono qui sulla terra, oggi, è dimostrare che l’uomo può vivere della luce invisibile di Dio e non di solo cibo».
«Potete insegnare agli altri come vivere senza cibo?».
Sembrò piuttosto sconcertata. «Non posso farlo; non è questo ciò che Dio desidera».
Quando il mio sguardo si posò sulle sue mani forti e graziose, Therese mi mostrò una piccola ferita quadrata, da poco rimarginata, su ciascun palmo.
Sul dorso di ognuna delle due mani ella mi indicò una ferita più piccola, a forma di mezzaluna, anch’essa guarita di recente. Ciascuna ferita le trapassava la mano. A quella vista mi sovvennero distintamente i grandi chiodi di ferro quadrati con le punte a mezzaluna, ancora utilizzati in Oriente ma che non ricordo di aver mai visto in Occidente.
La santa mi raccontò qualcosa delle sue trance settimanali. «Come un osservatore impotente, assisto all’intera passione di Cristo». Ogni settimana, da giovedì a mezzanotte fino a venerdì pomeriggio all’una, le sue ferite si aprono e sanguinano; ella perde quasi cinque chili del suo peso abituale di 55 chili. Pur soffrendo intensamente nel suo amore profondamente partecipe, Therese attende sempre con gioia queste visioni settimanali del suo Signore”.