la dottrina dell’advaita – chiarimenti

Sri Ramana Maharshi, discorso 383

In questo discorso, Sri Bhagavan chiarisce molti interrogativi che sorgono dalle dispute tra le varie scuole di pensiero all’interno della stessa Advaita. Una vera manna per gli aspiranti jnani che possono proseguire con chiarezza nella loro sadhana senza essere infastiditi da dubbi. Le note tra parentesi quadre sono mie.

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Swami Lokesananda, un sannyasi, chiese a Sri Bhagavan: “Vi è prarabdha per un jivanmukta?”.

M. – Chi è colui che chiede? Da chi viene la domanda? Chi chiede è un jivanmukta?

D. – No, non sono ancora un mukta [liberato].

M. – Allora perché non lasciate che il jivanmukta ponga la domanda per sé?

D. – Il dubbio è mio.

M. – Proprio così. L’ajnani [ignorante] ha dei dubbi, ma non lo jnani.

D. – Secondo il credo che non vi sia nulla di nuovo (ajata-vada), le spiegazioni di Sri Bhagavan sono ineccepibili; ma sono accettabili in altre scuole?

M. – Nella dottrina dell’Advaita [advaita-vada] vi sono tre approcci.

1. L’ajata-vada è descritto come nessuna perdita, nessuna creazione, nessuno schiavo, nessun sadhaka, nessuno desideroso di liberazione, nessuna liberazione. Questa è la verità suprema (Mandukya Karika II, 32). Secondo questa scuola, esiste soltanto l’Uno e non sono ammesse discussioni.

2. Drishti Srishtivada viene definito come ‘creazione simultanea’. Vi sono due amici che dormono fianco a fianco. Uno di essi sogna di andare a Benares con l’amico e ritornare. Al risveglio racconta all’amico che entrambi sono stati a Benares. L’altro lo nega. L’affermazione è vera dal punto di vista del primo, mentre dal punto di vista del secondo è vera la negazione.

3 . Srishti Drishtivada è semplice (creazione graduale e conoscenza di essa).

Si presume che il karma sia passato ecc. [passato, presente e futuro; rispettivamente:

1. sanchita karma – il vasto deposito di azioni passate i cui frutti non sono stati raccolti, e si raccoglieranno in massima parte nella prossima vita.

2. prarabdha karma – le azioni i cui frutti si stanno raccogliendo nella vita presente;

3. agami karma – le azioni che saranno compiute dall’individuo nel futuro].

Perché vi sia karma, vi dev’essere l’agire (kartritva) e chi agisce (karta). L’azione (karma) non può essere del corpo in quanto è inanimato. L’azione c’è fino a quando perdura l’idea ‘Io sono il corpo’ (dehatma buddhi). Quando si è trasceso tale idea, si diventa uno jnani. In mancanza dell’idea ‘Io sono il corpo’ non può esservi né l’agire né chi agisce. Uno jnani dunque non ha karma. Questa è la sua esperienza, altrimenti non sarebbe uno jnani. Un ajnani invece identifica lo jnani con il suo corpo, cosa che lo jnani non fa. Così l’ajnani vede che lo jnani agisce perché il suo corpo è attivo, e dunque si chiede se lo jnani non sia influenzato dal prarabdha.

Le sacre scritture dicono che jnana [la conoscenza assoluta] è il fuoco che brucia tutto il karma (sarva-karmani). Sarva (tutto) è interpretato in due modi: 1) che include il prarabdha; 2) che lo esclude.

Nel primo caso, se morisse un uomo con tre mogli, ci si chiederebbe mai: “Si possono considerare vedove solo due e non la terza?”. No, sono tutte vedove. Così è per il prarabdha, l’agami e il sanchita. Quando non vi è chi agisce (karta) nessuno dei tre karma può rimanere.

La seconda spiegazione, invece, è data solo per soddisfare chi pone la domanda. Si dice che tutto il karma venga bruciato e rimanga soltanto il prarabdha. Si dice che il corpo continui a svolgere le funzioni per cui è nato. Questo è il prarabdha. Dal punto di vista dello jnani, però, esiste soltanto il Sé che si manifesta nella molteplicità. Il corpo o il karma non esistono separati dal Sé, e dunque le azioni non lo riguardano.

D. – Non esiste l’idea ‘Io sono il corpo’ per lo jnani? Ad esempio, se Sri Bhagavan venisse morso da un insetto, non vi sarebbe alcuna sensazione?

M. – Vi è la sensazione e anche l’idea ‘Io sono il corpo’. Quest’ultima è comune sia allo jnani che all’ajnani; con la sola differenza che l’ajnani pensa “Io sono nient’altro che il corpo”, mentre lo jnani sa che tutto è del Sé (Atmamayam sarvam), ovvero che tutto questo è Brahman. Se si presenta il dolore, lasciate che ci sia; anch’esso fa parte del Sé. Il Sé è pooma (pieno) [si propone qui una visione contraria a quella del Sé vuoto; tuttavia si tratta di concetti che hanno solo un valore didattico temporaneo; alla fine si fonderanno entrambi nell’Uno indifferenziato].

Riguardo alle azioni dello jnani, lo sono solo di nome perché non producono conseguenze. In genere le azioni entrano e rimangono nell’individuo come samskara [tendenze]. Ciò avviene fino a quando la mente è feconda, come nel caso dell’ajnani. Nello jnani la mente è solo supposta, ma invero egli l’ha già trascesa. Nel suo caso la mente è dedotta dalla sua apparente attività, ma quel tipo di mente non è feconda come quella dell’ajnani. Per questo si dice che la mente di uno jnani è Brahman. Di certo Brahman non è altro che la mente dello jnani. In quel terreno le vasana non possono produrre frutto.

La mente dello jnani è sterile, libera da vasana ed altro; ma poiché nel suo caso è stato ammesso il prarabdha, si deve supporre che esistano anche le vasana. Se esistono, sono solo per il piacere (bhoga-hetu). Le azioni producono due risultati: uno è il godimento dei loro frutti, l’altro lascia nella mente delle impressioni sotto forma di samskara [tendenze], che si manifesteranno nelle nascite future. La mente dello jnani, essendo sterile, non può accogliere i semi del karma. Le sue vasana si esauriscono semplicemente in attività che terminano solo nel piacere (bhoga-hetuka karma). In realtà il suo karma è visto solo dal punto di vista dell’ajnani. Egli rimane semplicemente inattivo; non percepisce il corpo come un’entità separata dal Sé. Come può esservi liberazione (mukti) o schiavitù (bandha) per lui? Egli è al di là di entrambe. Non è legato dal karma né ora né mai. Per lui non c’è nessun jivanmukta [liberato mentre il corpo è in vita] né videhamukta [liberato dopo la morte del corpo – Alcuni maestri asseriscono che la completa liberazione sia possibile solo dopo la morte del corpo. La domanda è: questi maestri hanno davvero reciso il nodo della loro identità con la mente? Se non l’hanno fatto, il corpo darà loro un bel po’ di fastidio].

D. – Da tutto ciò sembra che uno jnani che ha bruciato tutte le vasana sia il migliore e che egli rimanga inattivo come un tronco o una pietra.

M. – No, non necessariamente. Le vasana non lo toccano. Non è forse una vasana il rimanere inattivi come un tronco o una pietra? Lo stato dello jnani è il sahaja.