quelli che si ritirano prima di compiere l’ultimo passo per la liberazione

L’ho visto fare più volte. L’aspirante viene da me che soffre, ha problemi di tutti i tipi, e non ce la fa più a stare nel mare di Maya. Allora si impegna, lavoriamo sodo, cominciamo a scardinare i contenuti della mente che man mano appare sempre meno granitica. Lui o lei comincia ad avere esperienze dirette del Sé, conosce la beatitudine, la sua identità con la persona mortale si allenta e questo lo rende ancora più capace di dissolvere la mente, a volte anche con un solo sguardo. Ad ogni modo i contenuti mentali anche se compaiono, svaniscono dopo qualche secondo.

Ora finalmente è arrivato il momento in cui in cui è lui o lei è maturo a compiere l’ultimo sforzo per guadagnare la Liberazione definitiva, senza ritorno. E lui invece cosa fa? Abbandona, molla la corda.

Non si accorge nemmeno di averlo fatto. Quello che invece vede è che c’è stato un drastico peggioramento, come se fosse tornato a com’era la prima volta che si è rivolto al Maestro. E questo gli dà conferma rassicurando l’impostore, il suo ego: “Vedi? Con tutti gli sforzi che ho fatto, alla fine faccio sempre ritorno la stessa persona, alla stessa guazza”. E lì, dal mare della mente, emerge una salvifica identità per l’ego, che per funzionare non dev’essere del tutto esplicita, ma rimanere un po’ subconscia, altrimenti c’è il rischio che la coscienza la cancelli… Questa identità afferma “Io sono uno che non ce la fa”, o qualcosa del genere.

Allora comincio a non sentire più questa persona, si eclissa. Quello che è successo è che fin quando c’era dolore, l’ego voleva star meglio e si dava da fare, ma quando ha visto la meta a portata di mano, senza dirselo si è ritirato per non cambiare. Alcuni si accontentano pensando: “Se volessi potrei farlo”.

Dovete immaginare una corda tesa tra due capi. Da un lato c’è Maya e dall’altro il Sé. Nella prima parte della pratica l’aspirante suda un bel po’ per collegare l’altro capo al Sé, e questa è la parte più faticosa. Nella seconda parte della sadhana l’aspirante lavora per tendere bene quella corda tra l’illusione e la Verità, affinché possa facilmente percorrerla per raggiungere la meta. Quando proprio alla fine l’ego dell’aspirante sgancia il cavo dal Sé, la corda ricade indietro e a lui sembra che non abbia proprio fatto e concluso niente.

Ma invece è un’illusione. Quello che non ha fatto è l’ultimo tratto. E non appena lo capisce e decide di compiere l’ultimo sforzo, ritrova immediatamente tutti i guadagni che gli sforzi spirituali gli hanno fatto conquistare.

Qual è quest’ultimo tratto?

Prima ridefiniamo ciò che è l’Autorealizzazione attraverso le parole di Sri Ramana Maharshi:

Jnana”, dice Bhagavan, “è l’annichilimento della mente ottenuto attraverso la costante pratica di dhyana o dell’indagine, allo scopo di assumere la forma del Sé [dimorare nel Sé]. L’estinzione della mente è lo stato in cui cessano tutti gli sforzi. Coloro che si sono stabiliti in tale stato non devieranno mai più dalla loro vera natura. I termini ‘silenzio’ (mouna) e ‘inazione’ si riferiscono soltanto a questo stato”.

Ora vediamo in che consiste l’ultimo sforzo:

Tutte le pratiche sono fatte al solo scopo di concentrare la mente. Poiché tutte le attività mentali come ricordare, dimenticare, desiderare, odiare, accettare, scartare ecc. sono modificazioni della mente, esse non possono essere il vero stato naturale. L’ESSERE PRIVI DI MODIFICAZIONI MENTALI È LA NOSTRA VERA NATURA! Perciò, conoscere la verità del proprio essere ed essere Quello, è noto come Liberazione dalla schiavitù e distruzione del nodo della mente (granthi nasam). Fino a che non si è stabilmente raggiunto il silenzio della mente, la pratica dell’incrollabile dimorare nel Sé e del mantenere la mente priva dei vari pensieri [non indulgere nei contenuti mentali], è essenziale per un aspirante.

ECCOLO L’ULTIMO SFORZO MANCATO! Invece di far di tutto per dimorare nel Sé, di pensare solo al Sé, a ciò che è Reale, Permanente, Immutabile, quelli che mollano quando la meta è ormai vicinissima indulgono nella mente. In tal modo non giungono a spezzare il nodo della loro identificazione con la mente e l’ego e mancano la Liberazione. Dispiace, è uno spreco di Grazia, fatica ed energia, ma purtroppo succede. Tutti quelli che hanno fatto l’ultimo sforzo si sono Liberati; agli altri resta un’inerte corda tra le mani.

Io ricordo Mukti che mesi prima della realizzazione spesso scriveva “Rimanere nel Sé è fondamentale!”. E poi si è realizzata. Lei non ha passato la crisi di manonasa; la rottura dell’identità con l’ego in lei è avvenuta attraverso una dissolvenza graduale. Ma che impegno incessante! E lo stresso vale per Monica e Fabrizio.

Per darvi un’idea delle percentuali, io al momento sono in contatto con tre che si sono fermati prima dell’ultimo sforzo e tre che non si sono fermati e si sono Liberati. Speriamo che questo post possa aiutare a riflettere quelli che devono ancora compiere l’ultimo sforzo.