il madornale errore di credere che la liberazione sia un determinato stato di coscienza

La stragrande maggioranza della spiritualità ci induce capire che la Liberazione sia uno stato di coscienza. A partire da Patanjali: tu fai yama e niyama, poi fai le asana, poi il pranayama, fai il ritiro dell’energia dagli organi di senso (pratyahara), fai la concentrazione (dharana), poi accedi alla meditazione (dhyana), poi accedi al samadhi, prima sabija (con oggetti e concetti) poi nirbija (senza oggetti né concetti), e dopo un certo tempo di nirbija ottieni la liberazione. Cosa capisce la gente? Che la liberazione è uno stato! Perciò l’aspirante avanzato tenta di stabilizzare uno stato trascendente: il nirbija samadhi, anche indicato come nirvikalpa.

Anche le storie spirituali ci inducono a credere che la liberazione sia uno stato. Swami Ramdas va da Sri Ramana, ottiene la benedizione di Bhagavan e si ritira a meditare 15 giorni in una grotta di Arunachala. Dopo questo periodo entra in samadhi e corre fuori esaltato ad abbracciarsi un albero e un pellegrino che si spaventa un bel po’… Allora uno pensa: “Ecco, ha raggiunto lo stato di samadhi ed è rimasto sempre lì, è questa è la liberazione”. No, perché se rimaneva sempre così lo portavano in manicomio…

Anche i film spirituali ci inducono nell’errore di pensare che la liberazione sia uno stato. Si vede l’aspirante che si chiude in una grotta a meditare e a un certo punto esce illuminato…

Lo stato sahaja, lo stato naturale, è detto anche lo STATO NON-STATO perché non è uno stato ma una COMPRENSIONE! La COMPRENSIONE DI ESSERE IL SOSTRATO ETERNO PERMANENTE E IMMUTABILE DI TUTTI GLI STATI, anche gli stati trascendenti come il nirvikalpa. Lessi una dichiarazione di Sri Ramana che più o meno diceva così: “La gente pensa di dover passare prima attraverso il savikalpa e poi il nirvikalpa samadhi per avere la Realizzazione. Ma perché non restare da subito nel Sé?”.

Restare nel Sé non si basa su nessuno stato, ma sulla Profonda Comprensione di essere il sostrato di tutti gli stati. Ciò che bisogna stabilizzare per ottenere la liberazione non è uno stato supertrascendente, ma quella comprensione, e ciò comporta una rieducazione mentale, non più dhyana (meditazione).

Quelli che giungono alla realizzazione attraverso il ‘ragionamento superiore’ discreano l’illusione attraverso una logica superiore che dimostra che ciò che appare non è reale ma che è reale la sola Pura Consapevolezza. Essi in genere non parlano nemmeno di meditazione né di samadhi. Tra questi mi vengono in mente Jean Klein, Francis Lucille, Eric Baret, Rupert Spira, Greg Goode ecc.

I tre passi della via diretta secondo me sono i seguenti:

1. Con l’autoindagine giungere a capire con abbastanza chiarezza ‘Chi’ veramente siamo attraverso delle esperienze dirette non-duali.

2. Una volta che abbiamo capito ‘Chi’ siamo, lavorare col Testimone per rendersi conto che la mente e il mondo fenomenico non esistono. Ciò trasferisce gli insegnamenti dello Yoga Vasistha nella vostra esperienza diretta.

3. Quando il Testimone ha completato il lavoro avrà estinto nella mente la maggioranza delle vasana (spinte, desideri). Siete allora pronti ad accedere allo stato sahaja.

Lo stato sahaja (lo stato naturale, lo stato non-stato) si basa sulla Profonda Comprensione di essere la Pura Coscienza, di essere cioè il Sostrato su cui poggiano tutti gli stati. È QUESTA COMPRENSIONE CHE BISOGNA STABILIZZARE E RENDERE PERMANENTE per ottenere la realizzazione, non uno stato trascendente che inevitabilmente sarà transitorio, durasse anche 1000 anni! E ciò comporta un lavoro di profonda rieducazione mentale.

Come fare questa rieducazione mentale? Essa comporta una vigilanza a ricordare costantemente di essere il Sé e che la molteplicità di oggetti ed eventi del mondo fenomenico non esiste. Nisargadatta lo faceva con neti-neti. Egli diceva «Come mi appare qualcosa, spontaneamente sento dentro di me “Questo non sono io!”». Io mi ripeto spesso: “Non sta accadendo niente”. Quando la Profonda Comprensione si è stabilizzata, cioè è diventata permanente, questa vigilanza – ‘prontezza’ la chiamava Sri Ramana – diventa spontanea e non ha più bisogno di sforzo. Diventa piuttosto uno stato di devozione-abbandono al Divino permanente. Un oceano di beatitudine compenserà i vostri sforzi